Dimenticato nella sua cella: la prigione invisibile di Stephen Slevin

Nel 2005, Stephen Slevin, 57 anni, era un uomo fisicamente in salute, ma con profonde ferite interiori. La depressione lo tormentava, e sentiva che la sua vita non aveva più significato. Così prese la decisione di partire per un viaggio in auto, sperando che la strada lo aiutasse a ritrovare un senso. Ma quel viaggio si trasformò rapidamente in un incubo...
L’arresto e l’inizio della discesa
Durante il tragitto, Stephen cominciò a bere. Guidava in modo pericoloso, instabile, come se cercasse qualcosa o volesse fuggire da qualcuno. Un poliziotto lo fermò. Il test alcolemico fu negativo per lui: arrestato per guida in stato di ebbrezza.
Al momento della registrazione nel centro di detenzione della contea, le autorità notarono i suoi problemi mentali. Secondo le regole del carcere, chi mostra segni di instabilità mentale viene isolato “per la propria sicurezza”.
All’inizio fu rinchiuso nudo, in una cella imbottita, avvolto solo da una coperta anti-suicidio. Dopo qualche giorno fu trasferito in una cella un po’ più umana: con letto, finestra, bagno e doccia. Ma la vera prigione doveva ancora cominciare.
Isolato. Dimenticato. Annullato.
Senza spiegazioni, Stephen venne spostato in isolamento in attesa del processo.
In quella cella, passava 23 ore al giorno da solo, senza contatti, senza conforto.
All’inizio scriveva lettere alla famiglia, si mostrava gentile con le guardie, chiedeva assistenza sanitaria. Ma il silenzio e l’abbandono iniziarono a divorarlo.
Col passare dei mesi, il suo equilibrio mentale si sgretolò.
Attacchi di panico, allucinazioni, tremori. Tentava ancora di scrivere, ma le mani non lo seguivano. Si rannicchiava in un angolo della cella, dondolandosi avanti e indietro, perso in un buio senza fine. Non uscì più nemmeno per fare la doccia. La pelle cominciò a infettarsi. I denti marcivano.
La spirale dell’orrore
L’8 maggio 2007, dopo un anno e otto mesi, venne trasferito in un istituto comportamentale a Las Vegas.
Dopo pochi giorni di cure, tornò lucido. Ma la realtà che gli venne raccontata lo sconvolse: era stato dimenticato per quasi due anni, rinchiuso in isolamento, e lui non ricordava quasi nulla.

Disperato, supplicò l’avvocato che gli era stato assegnato: “Ti prego, non farmi tornare lì.”
Ma dopo solo due settimane, fu rimesso nella stessa cella. Poco dopo, sviluppò un’infezione ai denti. Nessuno intervenne. Dopo ore di agonia, si strappò un dente da solo, con le mani, dentro quella cella che sembrava non volerlo lasciare andare.
La liberazione, la causa e un epilogo beffardo
Il 22 giugno 2007, quasi due mesi dopo, il caso fu archiviato. Tre giorni dopo, venne finalmente liberato. Era dimenticato da tutti, come se non fosse mai esistito. Ma era sopravvissuto. E fece causa alla contea.
Il risarcimento fu enorme: 15,5 milioni di dollari. Ma la giustizia non cancella l’orrore vissuto.
Poco tempo dopo, a Stephen venne diagnosticato un cancro terminale ai polmoni.
Nessuno sa se oggi sia ancora vivo.